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“Non Aspettare il prossimo Natale”, Interlandi ci porta indietro negli Anni 80

Siracusa- Un tuffo nostalgico negli Anni 80, quando tutto ancora sembrava a molti dei cinquantenni di oggi possibile e la quotidianità era intrisa di quella umanità autentica fatta di cose semplici, specie nei piccoli centri abitati del Meridione.

Giorni di “bambini e adolescenti liberi e felici”, in cui le lancette dell’orologio sembravano girare lente, per fare assaporare i secondi, scandendo i momenti e imprimendoli nella memoria, assieme a quei rituali centenari e pittoreschi che li caratterizzavano.

Tempi poco lontani in cui le grandi conquiste venivano fatte a piccoli sorsi, scandite dal sudore dell’attesa e del sacrificio e da colonne sonore indimenticabili, dei tormentoni dai significati profondi.

“Non aspettare il prossimo Natale”, ultimo libro dello scrittore Antonio Interlandi, pubblicato da Lupieditore, rappresenta un viaggio indietro nel tempo, incontro a se stessi, a quella parte che si tende a dimenticare, ma che emerge spesso, soprattutto, in procinto delle festività natalizie.

E se spesso i viaggi vengono rovinati dagli imprevisti, in questo racconto è l’inconveniente a indurre il viaggio o meglio una lenta corsa a bordo di una littorina malconcia, datata, che passando sulle rotaie di una Sicilia “sconnessa” riaccende il pensiero, lo libera dell’affanno e lo guida lungo i ricordi.

I particolari della narrazione diventano per il lettore delle piccole petite madeline di proustiana memoria, che assaggia piano piano come le cose buone che non si vogliono far finire presto.

La scrittura è semplice, lineare, mai banale, tanto da rendere gli episodi familiari.

Sfogliando le pagine si ha l’impressione di essere seduti sulle poltrone di quel vagone sgangherato per assistere a una “seconda visione” della propria infanzia o adolescenza, ritrovando nei personaggi i protagonisti della propria vita: le mamme ansiose verso i bambini di salute cagionevole, i rituali delle megere del Paese, i padri tifosi, i fratelli neo-hippie, le maestre buone, i bulli.

Le righe scorrono sotto gli occhi velocemente, si ha quasi l’impressione di sentire gli odori di quegli angoli descritti, di quelle case aperte al vicinato, i sapori di quelle minestre più volte riscaldate ma buonissime, pasti ricchi fatti con gli ingredienti delle campagne e tanto olio di gomito delle nonne.

E poi la musica, che trasporta indietro e fa sorridere da soli, ritrovando il gusto di farlo…

Una lettura natalizia che riempie il cuore, con un paniere di spontanei e introspettivi dejà-vu, che ci consentono di connetterci con noi stessi e con il mondo, ma in maniera autentica, sentita, senza i filtri della “maturità” digitale.

Mascia Quadarella

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Giornalista