Siracusa – Gli spalti di pietra calcarea della cavea del Teatro greco di Siracusa, dallo scorso 3 luglio, sono tornati a vibrare grazie ai suoni, alle voci, alle musiche, alle emozioni dei protagonisti e del pubblico delle rappresentazioni classiche della 56° stagione dell’Istituto nazionale del Dramma antico, che si protrarrà quest’anno fino al 21 agosto.
Il crepuscolo afoso sul Colle Temenite ha fatto da sfondo universale alle straordinarie scenografie delle due tragedie in calendario quest’anno: Le Coefore/Eumenidi di Eschilo, per la regia di Davide Livermore e Le Baccanti di Euripide, dirette da Carlus Padrissa, fondatore della Compagnia la Fura dels Bauls.
Coefore/Eumenidi
Rendere esilarante, gradevole, con un tocco di oculata e ben amalgamata contemporaneità, una tragedia come le Coefore sembra essere stato quasi naturale per il regista Livermore, che ha catapultato il pubblico in un’atmosfera anni 40, tra lustrini, piume, tacchi a spillo e smoking, mostrando cosa succede, dalla notte dei tempi, quando si tenta di lavare il sangue con altro sangue, specie all’interno della stessa famiglia. Si genera, cioè, solo una successione di morti, evitabili. Nell’affannosa ricerca di una giustizia terrena, rarefatta ed effimera, si invoca l’aiuto del divino nel tentare di “pesare” i delitti, per i quali impossibile è trovare l’equa misura e la vera condanna eterna rimane, sempre e comunque, averli compiuti e il perpetuo morso della coscienza, che non trova pace… nonostante l’assoluzione di una giuria.
Attraverso un racconto antico Livermore ha passato in rassegna la cronaca dei nostri tempi, con effetti cinematografici e artifizi tecnologici tipici dell’era digitale, nella quale siamo stati scaraventati tutti, Eschilo incluso, negli ultimi anni.
Argo si presenta come un paesaggio lunare, freddo, ghiacciato, su cui si adagiano le macerie dei piloni di un ponte, chiaro riferimento al recente crollo del Morandi, emblema della caducità dell’azione dell’uomo, che nel tentativo di costruire spesso distrugge, lasciando polvere e cenere, in nome di un potere che lascia l’amaro in bocca e sacrifica i valori. Valori essenziali, trascurati, come quelli che si riscoprono, invece, nell’abbraccio spontaneo, sebbene disperato e finanche ristoratore, di due fratelli orfani, Oreste ed Elettra.
Figli di una tragedia, come tanti anonimi di ieri e di oggi, in balia dei sentimenti contrastanti, scaturiti dai conflitti tra i genitori nemici, che li pongono di fronte a scelte sofferte, che lasciano cicatrici nell’anima.
Le milizie indossano divise fasciste, impugnano rivoltelle, di cui si armano anche le mani femminili.
Brancola nel buio, vestita di lurex e paillettes argentee, quasi per esorcizzare le tenebre che l’avvinghiano, nella morsa delle Erinni, capricciose e sfrontate come drug quenn, la moglie fedifraga. Clitennestra, l’uxoricida, sorseggia vino rosso e indossa un’apparente frivolezza, che la fa singhiozzare e galleggiare sul dolore che forse passa inosservato. Il dolore di aver condannato a morte il marito, colpevole di aver sacrificato agli dei una delle loro figlie per propiziarsi la vittoria. Lei che perdono non ha concesso, a sua volta non lo riceve.
Ad interpretare Clitennestra, donna che vive in antitesi con se stessa, nel logorio del suo conflitto interiore camuffato di leggerezza, è la sublime Laura Marinoni.
Si respira, come fosse un pungente alito di vento proveniente dal Nord, il tormento di Oreste, chiamato a togliere la vita a quella madre, che in fondo continua ad amare, finendo a sua volta sul banco degli imputati. Ma, lui, almeno lui, ha l’opportunità di difendersi. E’ sempre in quell’aula di tribunale, in cui le sagome di bersagli di un poligono prendono fuoco durante la decisione, che viene “liberato” per volere divino. Di fronte a quel verdetto assolutorio pure alle ancelle del male non resta che convertirsi al bene, che rimane la scelta più conveniente…
A scandire il tempo, a rendere promiscue le dimensioni tra passato, presente e futuro, vi è una sfera spazio-temporale olografica, dalla quale il volto dei morti appare ai vivi, mostrando infine gli “orrori” dell’umanità spietata di tutte le epoche.
Baccanti
Con tamburi, suoni e musiche tribali le Baccanti di Carlus Padrissa irrompono nell’antico teatro siracusano, assediandolo a 360° gradi, creando stupore ed interazione con il pubblico, che si ritrova i figuranti alle spalle, davanti e accanto.
Un’ invasione interattiva che crea movimento alla storia classica stantia, lenta, dove i protagonisti delle prime scene, gli anziani, i saggi, non si rassegnano all’inesorabile trascorrere del tempo e cercano di “esorcizzare” il mostro della vecchiaia, combattendolo con l’entusiasmo, nel confronto-scontro con le nuove generazioni.
Dioniso è interpretato magistralmente da Lucia Lavia, che svela le sue doti contorsionistiche sulla scena, lasciando trasmettere al suo volto espressivo e al suo corpo allenato la suadenza della divinità degli eccessi e dell’effimero che interpreta.
Il fiato rimane sospeso per le performance corali acrobatiche, calate letteralmente dall’alto, in una giostra umana che tiene gli occhi puntati degli spettatori al cielo.
Esibizioni circensi, che regalano suspense, tra un dialogo e l’altro dei personaggi e sublimano la narrazione, diventando esse stesse, tra le imponenti scenografie “industriali”, “deus ex machina”, elementi di stupore e spettacolarizzazione, che in questa stagione dell’Inda non mancano di certo, come gli applausi di un pubblico soddisfatto.
Mascia Quadarella