Siracusa- Con la tradizionale processione del rientro del simulacro argenteo in Cattedrale, dopo gli otto giorni trascorsi all’interno del Santuario, istituito nella basilica della Borgata dedicata alla vergine e martire siracusana, si è conclusa ieri nel capoluogo aretuseo la Festa di dicembre dedicata a Santa Lucia.
Una Santa, la piccola grande Lucia, che richiama dopo secoli sempre più fedeli e rimane per molti concittadini la “sorella” maggiore, a cui affidare il proprio destino e quello dei propri cari.
Sempre più commovente l’incontro tra “Lucia” e “Maria” al Santuario e sempre più sentito il passaggio in ospedale, all’Umberto I, per consentire il saluto alla Santa dei devoti ricoverati.
Intenso e rievocativo anche quel tratto in cui i berretti verdi si alternano nel trasporto del simulacro al Corso Gelone con i Vigili del Fuoco: corpo, quest’ultimo, entrato dal sisma del ’90 nel vivo del cerimoniale dei festeggiamenti, che quest’anno ha contribuito a rendere molto toccanti.
Nella memoria storica della città, infatti, rimarrà impressa la spontanea carezza fatta dalla vigilessa Francesca alla statua di Lucia, ferma sulla scalinata, prima di renderle l’omaggio floreale.
Un gesto che ha commosso i presenti e innescato qualche polemica sul web, sgonfiatasi, nella frazione di poche ore, per la naturalezza e la bontà di quel gesto “complice”, da donna a donna.
Lucia, tra misticismo e folclore, è stata anche quest’anno momento di riflessione, di quella profonda, che “Lei” stessa, dall’alto, sembra suggerire, per imboccare la giusta via verso la luce, che a molti purtroppo oggi continua a mancare.
Il sindaco Italia, il 13, ha voluto esprimere solidarietà alla famiglia Formosa, ed in particolare alla mamma di Renzo, la dolce e tenace Lucia, avvolta da un dolore che nessuna parola potrà mai confortare e che anestetizza nella sua ricerca di giustizia.
Monsignor Pappalardo ha ricordato, nel suo discorso dal balcone dell’Arcivescovato, come ogni anno, i poveri, gli ultimi, gli afflitti, rischiando però di scivolare sull’indignazione animalista, accennando a un paragone che faceva chiaro riferimento all’uccisione del gatto “Arturo” in Ortigia”, che si era consumata pochi giorni prima.
Pucci Piccione ha messo in evidenza, ieri, dall’altare del Santuario di Santa Lucia, con la sua grande sensibilità di uomo e di padre, la storia di un “martire contemporaneo”, il giovane giornalista Antonio Megalizzi, rimasto vittima di un attentato, frutto del delirio e del fanatismo che portano l’uomo a fare del male ai propri simili, in balia di modelli falsati.
Fanatismo ripudiato, riaccendendo il faro della fratellanza, dai giovani di un centro di accoglienza prossimo all’Umberto I, che hanno steso un cartello in cui si sono autoproclamati “Sarausani”, celebrando Lucia insieme al resto della cittadinanza, dimostrando che le religioni non devono separare e possono contenere anelli di congiunzione.
Un cartello, il loro, che è diventato manifesto della voglia di integrazione dei nostri ospiti e della buona accoglienza di cui la città è capace, bandendo il pregiudizio e rimanendo immune alle epidemie di odio.
Una festa sobria, ma sentita, quella di “Santa Luciuzza”, dalla quale trasuda la voglia di rivendicare l’appartenenza alla città di questa Santa rara, di cui bisognerebbe, nella vita di tutti giorni, emulare lo spirito di sacrificio e il grande amore per gli altri e per la vita “pura”.
“Sarausana jè”, quell’urlo che spezza il silenzio, con voci rotte dall’emozione, siano esse di adulti o ragazzi, diventa oggi più che mai l’emblema di una città che si fa forza ancora sulle proprie radici culturali, dalle quali potranno, se si vorrà, germogliare buone speranze.
Il pensiero di molti in processione, a piedi scalzi e grossi ceri accesi in segno di voto, era rivolto ai propri cari, affranti da un male.
Diversi i devoti, donne in prevalenza, che hanno invocato, con il loro gesto, l’intercessione della Santa sulla Salute dei propri cari: troppi dei quali colpiti dal cancro, male sempre più diffuso nel territorio.
E poi l’affidamento dei piccoli alla Patrona, alcuni con addosso la tunica verde dal cordoncino e passamaneria rosse , affinché possano vivere una vita di gioia, libera dal dolore e dalle tribolazioni.
Tra una fermata e l’altra, scandite dal campanellaio, che dà magico ritmo alla processione, guidata dalle note di una banda che emoziona, l’arrivo in Ortigia, dove uno spettacolo pirotecnico, dagli effetti speciali, ha annunciato, in vecchio stile, l’imminente fine della Festa, con il rientro nella cappella del Duomo del simulacro, mentre l’aria è satura dell’odore di canditi e torrone, sfornati caldi dai venditori ambulanti ai margini delle strade del percorso.
Un rituale che ha segnato i dicembre di generazioni e generazioni di siracusani, che portano Lucia nel cuore e lo racconteranno a chi verrà dopo, per non far morire mai questa tradizione di luce ed incanto. Arrivederci a maggio santa Lucia.
MQ