Siracusa- I confini tra “normalità” e “povertà” in Italia, oggi, sono davvero sottili, valicabili da un momento all’altro, tanto che diverse famiglie, anche in provincia di Siracusa, si ritrovano dalla parte più buia della frontiera, senza essere preparati al “trapasso” da una condizione all’altra, e senza riuscire poi a tornare indietro, riconquistando almeno il minimo indispensabile per sopravvivere dignitosamente.
Alla base dell’impoverimento emergente c’è spesso la perdita del lavoro, l’assenza di opportunità di ricollocamento e le conseguenze personali e sociali che da questi status involontari scaturiscono: separazioni, depressione, isolamento, abbandono progressivo e rapido a quello che appare il proprio triste destino, irreversibilmente avverso.
Situazioni molto diffuse che portano le persone alla perdita e definitiva cancellazione della propria identità sociale, destinandole ai margini.
I nuovi “clochard”, le persone senza fissa dimora, che vivono in strada o i più fortunati in auto ferme, perché non hanno più i soldi per metterle in moto o farle circolare, sono in tanti casi anche concittadini siracusani, singoli individui, ma anche piccoli nuclei familiari, non scampati alla crisi e da essa “sotterrati”.
Siracusani che non hanno la fortuna di avere parenti che possano intervenire in loro sostegno, che si sono stancati di chiedere alle istituzioni, agli enti territoriali, incapaci finanziariamente e organizzativamente di far fronte a questi bisogni diffusi, rientrando, così, all’improvviso e inconsapevolmente, nella dimensione degli “invisibili”.
Una comunità locale ancora poco conosciuta, sommersa, i cui “abitanti” hanno subito una sofferenza tale da non percepire ormai il senso del tempo, delle stagioni, la cui esistenza scorre lenta, osservando, con gli occhi persi nel vuoto, sulle panchine, o dalle fessure dei i cartoni tra cui trovano riparo, quella degli altri che stanno reggendo ai colpi di questa maledetta crisi, senza più nemmeno invidiarli, senza più condannarli per i loro atteggiamenti indifferenti, avvolti dalla desolazione in cui sono stati catapultati.
Uno sguardo attento su di loro, però, tutti i giorni dell’anno, lo ha la Caritas e i volontari delle associazioni di solidarietà umana, che porgono le loro mani agli sconsolati, a chi “fu” ma non gli è più consentito “d’essere”, un uomo, una donna e ahimè persino un bambino “normale”.
In queste giornate in cui il freddo fa ringraziare tutti della casa in cui si fa rientro e in cui si ci ristora dopo le fatiche quotidiane per andare avanti, in molti hanno pensato a chi quelle pareti calde non le ha a disposizione, lanciando raccolte di indumenti protettivi e coperte da destinare a coloro i quali bivaccano all’addiaccio, e proprio i volontari delle associazioni e di alcune parrocchie si sono premurati di distribuire pasti caldi e conforto a chi ormai è abituato a non contare nulla, per nessuno.
Tra questi valorosi l’esercito umile degli aiutanti silenziosi, ma operativi al massimo, dell’associazione ” Amici della Casa di Sara e Abramo”, che gestisce il dormitorio di via Monte Renna, coordinati da Marcello Munafò
Oltre a far girare “Le sentinelle della solidarietà” per i luoghi diventati “dimore” improvvisate dei “diseredati sociali”- nel capoluogo aretuseo ce ne sono diversi: dalle Grotte di Balza Akradina al parcheggio Talete, dalle rientranze scantinate dei palazzi ai vagoni dismessi nell’area della Platea di Lavaggio di contrada Pantanelli- per distribuire vivande calde e cibo, donato anche da commercianti siracusani di buon cuore, l’associazione a partire dalle 17.00 trasforma i locali di quello che alla Pizzuta appare un grigio blocco di cemento in un vero e proprio “albergo della speranza”.
Un ricovero, dagli interni ritinteggiati e dagli ambienti condivisi razionalizzati, in modo da fare spazio a tutti, oltre i 22 posti letto disponibili per soli uomini, che si merita le stelle massime dell’accoglienza, per l’amorevole cura di chi gestisce il servizio, per la pulizia che regna sovrana e che fa brillare la cucina in acciaio industriale, ma soprattutto per i sorrisi che si riescono a strappare, a tavola, su bocche, spesso sdentate, che non riuscivano più a inarcarsi, se non per smorfie di dolore e come reazioni involontarie al gelo.
Tra queste mura non si ritrova solo il caldo emesso dai climatizzatori accesi o dai piumoni posizionati sui letti a castello, o sulle brandine aperte per gli ospiti dell’ultimo minuto, ma quello umano, quello che un abbraccio e una carezza sanno sprigionare, senza chiedere nulla in cambio.
Sono tante e crescenti le esigenze di questa porzione di popolo “dimenticato”, da chi dovrebbe mettere in atto politiche economiche, sociali e del lavoro, tali da non favorire certe situazioni off limit, e tanta potrà essere l’umanità da esprimere, contribuendo con piccoli gesti ad occuparsi di chi ha bisogno, ma non “disturba” più.
Da apprezzare in tal senso il simbolico gesto di due consiglieri comunali, Silvia Russoniello e Roberto Trigilio, che nei giorni scorsi hanno pensato di donare all’associazione dei thermos e dei porta-bottiglia termici da distribuire a chi vive in strada. Ancor più lodevole anche la generosità di diversi commercianti del capoluogo che conservano per le ronde della solidarietà il cibo o offrono bevande calde”.
Mascia Quadarella