Siracusa- Al crepuscolo di ieri il Teatro greco di Siracusa è tornato a rianimarsi delle voci, dei suoni e dei movimenti degli attori che hanno messo in scena, per il 53°ciclo di spettacoli classici dell’Inda, la tragedia di Eschilo “Sette contro Tebe”, diretti dal regista Marco Baliani.
Scenografia essenziale, come annunciato: la terra nuda e cruda, che accoglie il disastro della guerra fratricida. Un perimetro spoglio, quello dell’antica cavea della Neapolis, diventato riflesso delle anime inorridite dei protagonisti che si preparano ad accogliere la distruzione, presagita e voluta dagli Dei.
La natura è svilita, come l’umanità di fronte alle dure, inesorabili, prove che il destino costringe ad affrontare.
Sullo sfondo campeggia un albero, dai rami spiegati, come in un abbraccio paterno, che offre il senso dell’accoglienza, del rifugio, da quella paura palpabile che incalza, dagli orrori che la massa, qui individualizzata nella reazione di ognuno dei coristi, si appresta a vivere.
Sembra essere un grosso ulivo, simbolo di pace, metafora dei controsensi della vita, di un mondo in perenne guerra – fredda, dichiarata, combattuta – alla ricerca della serenità, che diventa parentesi effimera.
La natura partecipa ai processi dell’uomo, in una sorta di panismo dannunziano invertito, dove non è l’uomo che cerca appagamento assecondando i processi della natura, ma è l’ambiente circostante che in balia della pietas, diventa simbiotico, interagisce con i sentimenti dei protagonisti: ingoia nella seconda parte, aprendo crateri sul terreno di battaglia, i due antagonisti consanguinei e ne fa momentanea tomba unica, facendo calare il sipario eterno sulle ostilità, per poi abbassare le fronde definitivamente una volta che il disegno di morte si è compiuto, in segno di resa, di disperazione, di lutto.
La rappresentazione si sposta anche ai due lati dell’impianto scenico e prende corpo al centro di uno scudo fatto di canne,di chiara ispirazione leonardiana.
I suoni segnano l’avanzata del nemico, del pericolo, che rimane sulla scena presenza non fisica, “fantasma”.
Eteocle, protagonista dagli “accenti misogini”, che parla più volte in accezione negativa di “razza delle donne” facendo storcere il naso alle signore in platea, è stato eccelsamente interpretato da Marco Foschi, che ha saputo strappare l’applauso del pubblico quando, grazie alle capacità d’improvvisazione, è riuscito a superare con simpatia il primo intralcio tecnico della serata… intonando più volte un ” Mi avete sentito?” fino al ripristino dell’amplificazione.
Infatti, pare a causa di ripetuti black out elettrici verificatisi in tutta la città, probabilmente per un sovraccarico dovuto alla concomitanza di una moltitudine di eventi, è andato in tilt l’impianto audio.
Problema che purtroppo ha anche compromesso qualche scena del finale.
Il meglio di sé i Baliani l’ha sicuramente dimostrato nella seconda parte.
L’azione qui si è intensificata, facendo avvertire quella nota di Pathos, mancante all’inizio, quando l’attesa è diventata alquanto tediosa, estenuante.
Egregia l’interpretazione Di Anna Della Rosa, nei panni della giovane Antigone, che sfidando le regole della città nel seppellire il fratello contro il parere del governo, ha dato sul finale uno scatto di orgoglio al genere femminile, “mortificato” nella prima parte della Tragedia.
Sempre nel finale gradita la commistione tra passato e contemporaneità, il messaggero diventa un annunciatore post bellico della seconda guerra mondiale, che parla attraverso i megafoni, un tempo usati per la propaganda.
Tutto sommato, per non essere tacciati di eccesso di criticità, è il caso di dire “Buona la Prima”, che si migliorerà nelle repliche avvenire.
Il Teatro greco di Siracusa ha tuttavia confermato la sua ineguagliabile suggestione, che la trascuratezza dell’uomo non riuscirà a cancellare.
Mascia Quadarella
Foto di Antonio Lucchesi